Io cammino. Perché camminare è un viaggio senza fine.

da | 22 Gen 20 | Pensieri in cammino | 0 commenti

di Alex Vigliani 

Perché ho scelto come immagine un camoscio su una rupe?
Perché alle volte il cammino è tortuoso, perché se penso a un bambino, se penso al primo passo dell’uomo, l’archetipo della roccia cui arrampicarsi per prendere il tuo posto, quel che mi torna forte in mente è proprio la figura del camoscio.
Camminare. Senza fine.
Lo facciamo da poco dopo aver cominciato a vivere. Gattoniamo, conquistiamo quella piccola porzione di mondo. E poi a fatica ci alziamo. Proviamo e riproviamo, impariamo le distanze cadendo. Poi che succede? Succede che d’un tratto ce ne dimentichiamo della fatica fatta per sollevarci da terra, per quel passo barcollante fatto a braccia protese abbracciando una nuova libertà.
Una conquista, rivoluzione di movimento.
Evoluzione.
La rupe invisibile lì davanti, la fatica.

Quel primo passo alla base di tante evoluzioni della storia umana, un miracolo che si rinnova ogni qualvolta un bimbo imprima le manine sulla terra per un grado di arrampicata che lo porti in equilibrio sulle gambe.
Quel primo passo che è il principio di ogni cosa. Da quello del primo uomo eretto, fino a quello che sognava la luna e la raggiungeva, fermando la propria impronta sul suolo del nostro satellite.
E che dire dei passi, tanti, fatti dai transumanti, passi di nomadi che tagliano la terra a fette, passi, tanti, alla base di ogni attività.
L’archetipo del passo.
La metafora di qualcosa che si conquista “passo dopo passo”.
Lentamente.
Parole, queste, dettate dalla vigilia di un cambiamento, di un nuovo inizio, una nuova avventura che sì, è mia, ma che se rapportata ai passi fatti è cosa di tutti.

Cambiamento voluto e spero presto conquistato.
Generato dalla voglia di camminare non più solo con i piedi, ma con un nuovo piglio, se possibile più antecedente all’esperienza del primo passo.
Camminare in compagnia dei cinque sensi, sopiti sul giaciglio dell’infanzia e per questo da recuperare, ora che a quasi quarant’anni forse c’è bisogno di revolvere, recuperare, tornare a prendere quel bambino in attesa alla fermata della vita.
Se c’è un fiore voglio ritrovare la voglia di conoscerlo e chiamarlo per nome, così come l’albero, la roccia, il passaggio dell’animale, gli steli d’erba da sfiorare senza rovinarli, un nuovo sentire.
Rinascere ancora.
Ancora camminare. Un viaggio che non ha fine, non ha meta, un viaggio in cui non esiste punto d’arrivo.
Il primo passo: il principio di un cammino. E così non c’è un punto, uno “stop”.

Camminare sempre per incarnare il cambiamento.
Sempre.

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