Montagna e natura: l’ossessione del ritorno, il valore della pazienza

da | 28 Apr 20 | Pensieri in cammino | 3 commenti

Di Alex Vigliani

Sia chiaro. Chi scrive vorrebbe essere in un bosco.
E sia ancor più chiaro. Chi scrive ha fatto della propria passione per la natura un lavoro professionale, con tanto di tasse da pagare, un lavoro che oggi è ovviamente fermo. Quindi – come si suol dire – oltre il danno anche la beffa.
Lo specifico prima di ogni lecito dubbio.
Tuttavia non ho questa fretta, questa ossessione, questa ridondanza di pensieri nel voler tornare in natura, di affrettare i tempi burocratici. Non sto lì a chiedermi ogni giorno perché ancora non sia dato il “via libera”, come fossi un animale in gabbia che scalpita, come fossi un prigioniero che non vede altra ora di lasciare la propria abitazione e correre fuori.
Io, e l’ho già detto, in gabbia non mi ci sento. Se c’è poi, un insegnamento che ho appreso dalla natura e dalla montagna, questo è il valore dell’attesa. Dalla montagna, a pensarci bene, anche quello della rinuncia. Una rinuncia, che sa bene chi la frequenta, può avvenire anche a 50 metri da un obiettivo (ammesso che di obiettivo si possa parlare).
Eppure da più parti, anche amici “montanari” che leggo sui vari social, sembra vi sia la preoccupazione solo e soltanto della necessità – come fosse vitale – di tornare in natura o in montagna.
Mi fa piacere che questo avvenga, vuol dire – in fin dei conti – che per molti sia uno dei pochi problemi valutabili in questo strano periodo sospeso.
E lo scrivente, sia chiaro ancora una volta, su una settimana ne passava almeno cinque, di giorni, tra le montagne o nei boschi. Non l’uscita domenicale come fuga da tutto, anzi, un continuo rapporto empatico con la natura che faceva somigliare il tutto, non a una fuga dal quotidiano, ma a un ritorno alla terra prima e a una breve incursione poi entro l’ambito casalingo.
Dico questo perché ad oggi forse dobbiamo fermarci ancora una volta a riflettere e pensare quanto sana sia ciò che diventa abitudine, fretta, spasmodica attesa che tende a eliminare tutto il resto.
Non voglio soffermarmi sulle scelte del Governo, non su questo breve articolo. Non voglio qui discutere sulla necessità, questa sì, di incamerare vitamina D al sole e renderci tutti meno immunodepressi, ma è chiaro che questo non sottintenda la passeggiata domenicale in montagna – non solo almeno – ma uno stile di vita probabilmente del tutto differente.
Quel che voglio dire è che se dalla natura non abbiamo imparato la pazienza, la lentezza, se non abbiamo compreso i meccanismi che regolano il mondo naturale, senza la furia dell’orologio al polso, allora davvero dobbiamo ripensare a ciò che consideriamo passione e se essa non sia più appropriata chiamarla dipendenza.
E con questo, lo ripeto ancora a scanso d’equivoci, conoscendo tra l’altro la fretta con cui le cose vengono lette su internet: io non giustifico alcuna chiusura, ma comprendo i timori di chi vorrebbe evitare di allargare le maglie e poi doverle ristringere. Questo sì, perché sarebbe un contraccolpo per tutti.
Io tutto sommato mi sono impegnato a fare altro. E non ho un giardino, non vivo in campagna – anche se godo della vista di un bellissimo prato incolto dinanzi casa e delle montagne che fanno da corolla alla città, da qualsivoglia punto la si guardi. Aspetterò, attenderò, per me non esiste il giorno di pioggia troppo brutto per andare in montagna o vivere la natura, né il periodo migliore. Esiste invece la consapevolezza di amare un contesto naturale che, evidentemente, sta bene anche senza di noi.
Senza forzare la mano, quindi, senza fare inutili e assurde richieste che non sottintendano chiaramente uno sviluppo turistico migliore alla ripresa – perché per molti è lavoro ed è giusto parlarne nell’obiettivo di costruire una rete e non individualità – ho la presunzione di poter dire che obiettivamente oggi esistono problemi più grandi. Necessità più pertinenti su cui concentrarci. Non è nemmeno giusto né delicato battere i piedi a terra, per dire, fare i capricci, mentre una parte d’Italia fa ancora i conti con i morti.
Se parliamo di lavoro ok, discutiamone. Dibattiamone. Portiamo progetti. Ma se parliamo di tempo libero, di persone che si sentono in gabbia con la famiglia dentro casa, con la moglie o il marito, con i familiari più stretti, con le abitudini casalinghe allora sì, è meglio guardarsi dentro e fare una giusta analisi che parta, tanto per cambiare, da noi e non da quello che è lì fuori.

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