Viaggio ai piedi dei giganti lungo la Karakorum Highway (Pakistan)

da | 19 Apr 20 | Pensieri in cammino | 0 commenti

Di Luana Ricci 

29 Luglio 2019, Passo del Khunjerab, 4693 metri s.l.m.

Inizia qui, sul posto di confine asfaltato più alto del mondo, che maestosamente divide la Cina dal Pakistan,
il nostro viaggio lungo la Strada del Karakorum.
La strada è forse l’oggetto simbolo più prezioso per il viaggiatore. E’ quel filo eterno che ti guida ovunque e
ti trascina nella tua folle irrequietezza.
“La strada è vita”, scriveva Kerouac.
E’ “La vera casa dell’uomo”, sosteneva Chatwin.
E quindi eccoci qua.
Abbiamo fatto il nostro ingresso nel paese su un minibus colmo di gente e bagagli, su cui siamo
miracolosamente riusciti a salire nella lontana e surreale città di frontiera cinese di Tashkurgan.
Venivamo da Kashgar “situata dove nella mente le mappe si dissolvono”, splendida oasi posta ai margini del
perfido deserto del Taklamakan e mirabile esempio di come l’immaginario di un polveroso caravanserraglio
dell’Antica Via della Seta, possa scontrarsi col grigio distopico delle dittature e perdersi nel surrealismo
della modernità.
Il passaggio della frontiera è suggellato da un meraviglioso “Welcome to Pakistan, my friends!”.
E’ Ismail, uno dei nostri improvvisati compagni di viaggio. Studia in Cina, come tanti altri ragazzi del suo
paese e sta tornando a casa. Il suo grande sorriso e una scatola metallica piena di caramelle al mango che ci
regala sono il miglior augurio che si possa desiderare, soprattutto dopo l’infinita serie di disavventure
cinesi.
La Karakorum Highway, nata sugli antichi tracciati della Via della Seta è oggi la più alta strada asfaltata
internazionale del mondo. Si estende per circa 1200 Km e, circondata su tre lati dalle catene dell’Hindu-
Kush, dell’Himalaya e ovviamente del Karakorum, offre una visuale privilegiata di alcune delle vette più
imponenti del pianeta.
La prima parte della strada attraversa la porzione più meridionale dello Xinjiang cinese, si spinge poi
attraverso il sopracitato passo del Khunjerab e prosegue verso Sud fin quasi alle porte di Islamabad,
capitale del Pakistan; la maggior parte del percorso si sviluppa nella regione autonoma pakistana del Gilgit-
Baltistan, cuore del nostro viaggio.
Ci guiderà in questa avventura Manzoor, una giovane guida locale originaria della Valle dell’Hunza. I
numerosi check-point che si incontrano lungo la strada, soprattutto nella sua parte meridionale, sono
infatti molto complicati da superare senza un contatto sul posto. L’area risulta notevolmente militarizzata a
causa di diverse crisi interne allo stato pakistano, legate in parte a questioni relative a territori limitrofi
all’Afghanistan, controllati fino a pochi anni fa dai talebani, in parte alle controversie nella regione del
Kashmir, contesa con i vicini indiani, peraltro esplose nuovamente e in modo drammatico proprio nei giorni
della nostra permanenza nel paese.
Incontriamo Manzoor una volta giunti nella città frontaliera di Sust, dove sbrighiamo rapidamente le
formalità burocratiche per convalidare il nostro ingresso nel paese. Finalmente ci siamo!

Lungo la strada è un susseguirsi di maestose cime rocciose colorate di rosa e violetto che si stagliano aguzze
nel cielo azzurro, preludio della magia che ci attende nei prossimi giorni. Il Fiume Hunza scorre impetuoso
sotto di noi e ci accompagnerà così a lungo, incantandoci ad ogni curva.
Giunti nel villaggio di Passu assistiamo ad una partita di cricket, sport nazionale. Come si gioca a cricket
probabilmente non lo sapremo mai, ma il gioco di luci ed ombre che si crea sulle vette che circondano il
polverosissimo campo è di una bellezza indescrivibile.
La vita da queste parti è semplice e sincera. Gli uomini indossano quasi tutti l’abito tradizionale, una
lunghissima camicia che arriva fin sotto al ginocchio e un pantalone di lino, pochi vestono all’occidentale.
Gli alloggi nei villaggi sono estremamente spartani. L’acqua corrente arriva direttamente dai ghiacciai; è
fredda e scura, colma di detrito. La corrente elettrica va e viene ad intervalli più o meno regolari. Si mangia
tutti insieme in una grande stanza, seduti per terra su coloratissimi tappeti. L’odore di spezie riempie le
narici. Si mangia con le mani e lo squisito pane locale si usa al posto delle posate.
La sensazione preponderante è che l’ospite qui è sacro.
Concludiamo il nostro primo giorno in Pakistan gustandoci il tramonto sul Passu Cones, scorcio
emblematico del Nord del paese. Un sistema di cime così maestose da prendere anche il nome di
“Cattedrale di Passu” che si stagliano per oltre 6000 metri sopra di noi e riflettono la luce arancione del sole
che scende. La notte è un tripudio di stelle da gustare in silenzio.
“Bellezza indescrivibile” con la sua intrinseca astrazione lasciata al lettore, è forse ciò che meglio descrive e
riassume un viaggio nel Pakistan del Nord. Troppe volte il paesaggio ci ha tolto fiato e parole. Troppe volte i
colori hanno preso il sopravvento.
E’ un paesaggio incantato che sembra fuori dal mondo, ma brulicante di vita. A distanza di pochi kilometri
sa regalarti le esperienze più variegate, come solo pochi luoghi al mondo sanno fare. Allora ecco che puoi
camminare su un traballante ponte sospeso su un fiume impetuoso e incontrare una minuta “nonnina”, con
una cesta enorme sulle spalle, che con passo svelto si avvia sull’altra sponda a raccogliere erbe di
montagna. Servono per fare il “mountain tea”, una specialità da queste parti.
Puoi navigare su una barchetta dai mille colori su un lago di un azzurro glaciale, nato a causa di una frana
che ha bloccato il corso del fiume e diventato oggi una delle principali attrazioni della zona.
Puoi godere dell’immensità dell’Hopper Glacier, orgoglio dell’Hopar Valley, piccola conca ai margini della
più grande Valle del Nagar, in cui si spingono le lingue glaciali limitrofe al famoso e immenso ghiacciaio del
Baltoro, il più esteso lontano dai poli.
Puoi osservare poi su enormi massi ai bordi della strada antiche incisioni rupestri che raccontano storie di
popoli, viaggiatori, mercanti e imperi la cui memoria si perde in tempi lontani; come la cosiddetta “Roccia
sacra dell’Hunza”, su cui si trovano incisi in molteplici lingue (Sogdian, Kharosthi, Brahmi, Sarada) i nomi dei
governanti degli Imperi Buddhisti di Kanishka e Huvishka e particolarissime immagini di Ibex, gli stambecchi
che popolano queste montagne, accarezzate da divinità antropomorfe.
Puoi osservare in lontananza tratti dell’Antica Via della Seta e sognare di mercanti e viaggiatori che
transitavano con i loro carichi di lapislazzuli dell’Afghanistan, di rubini del Badakhsan, di profumi e spezie
del Kashmir, di pietre preziose del Karakorum o di raffinate sete provenienti dalla Cina e dall’Asia Centrale.
E poi ovviamente ci sono loro, le montagne.
Siamo circondati dai più bei picchi della catena del Karakorum, come il LadyFinger e l’immenso Rakaposhi,
protagonista indiscusso della Valle dell’Hunza. Con i suoi 7788 metri è la 12° vetta più alta del Pakistan; il
suo nome significa “muro splendente” nella lingua locale e rende onore a tutta la sua bellezza.

Lungo la Karakorum Highway avviene l’impossibile. Si possono ammirare contemporaneamente le estreme
pendici di tre delle Catene montuose più maestose del pianeta. Ad un tratto eccole li: l’Hindu-Kush alla tua
destra, di fronte a te il Karakorum e laggiù, in lontananza, l’Himalaya.
Ma non basta. Proseguendo verso Sud incontriamo il Re del Kashmir, il Nanga Parbat. Si staglia fiero e
minaccioso, coperto di nubi che ne nascondono la cima, gelosamente custodita lassù a 8126 m s.l.m.. Il
cielo nero ci ricorda che nella vita non sempre le cose vanno come le avevi immaginate tu. Ed è così che una
frana ci sbarra la strada e il sogno di raggiungere il campo base della “Montagna Nuda” si interrompe
all’improvviso, travolto sotto un mucchio di massi e detriti.
Ma “La montagna non è solo nevi e dirupi, creste, torrenti, laghi, pascoli. La montagna è un modo di vivere
la vita. Un passo davanti all’altro, silenzio, tempo e misura”, quindi cambiamo strada, proseguiamo il nostro
viaggio verso altre valli, con la certezza che un giorno ci riproveremo.
D’altronde così è la vita. Cime lontane, poi raggiunte, sogni realizzati e infranti, deviazioni dalla via maestra
e la voglia di andare avanti con gli occhi spalancati davanti bellezza intorno a noi.
E’ come andare in montagna.
E trovare la bellezza nell’inaspettato, nel cambio di programma e nell’ignoto è l’ennesimo insegnamento
che solo il viaggio riesce a darti. Quindi eccoci ai confini con l’Afghanistan, nella Valle del Phander, dai colori
surreali, coi suoi fiumi blu che attraversano vallate verdissime; un verde brillante acceso che contrasta coi
brulli profili violetti delle vette che le incorniciano. E poi ancora verso Sud, attraversando la Valle dello
Swat, verso la fine del viaggio.
Il ritorno in città è un ritorno alla realtà, qualcosa di più vicino al nostro mondo e i polverosi villaggi di
montagna coi sui abitanti sono solo un ricordo lontano.
Camminare alle pendici delle maestose cime del Karakorum è stato un onore. Per un attimo le incredibili avventure di alpinisti ed esploratori, i racconti di imprese epiche e i ricordi, purtroppo ancora freschi nella memoria, di grandi tragedie, si sono mescolate alla tua personale storia. Tu, così piccolo tra i giganti, che col cuore in mano puoi ringraziare di esserci stato e ringrazi lo straordinario potere della Natura, che è sempre lì, con la sua immensa bellezza, a disposizione di tutti. Ed è lì anche per te, un semplice “viaggiatore esteta,
che ha per casa la strada”.

 

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