La forza della vita

Di Francesca Mattiello

Le sento rintoccare nell’orologio del tempo quelle lancette metalliche che ad ogni spostamento riecheggiano così decise da spostare l’aria. Ma questa volta segnano un tempo diverso, non più quello trascorso.
Granello dopo granello scorre il conto alla rovescia nella clessidra del ritorno.
Che poi, a pensarci bene, ogni ritorno presuppone un viaggio di andata.
Un viaggio che questa volta è stato più improvviso del solito: nessun programma in grande stile, nessun villaggio vacanze da copertina, ombrelloni e sdraio in riva al mare per il primo sole a dorare la pelle, nessun itinerario zaino in spalla, cartina alla mano e scarponi ai piedi per i più avventurieri.

Tutt’altro! Una valigia preparata distrattamente e con tutta furia, una porta che si chiude alle nostre spalle al fischio di un capotreno che ci esorta a salire a bordo. E frastornati nel chiederci dove eravamo diretti, abbiamo preso posto sui sedili delle nostre case strette. Ma tra l’andata e il ritorno, nel mezzo c’è tutto il resto. E con precisione, ci sono, ad oggi, ben quarantasette giorni. Quarantasette sì, li abbiamo contati bene e segnati uno ad uno sul calendario del tempo andato.

Giorni che abbiamo riempito, in cui abbiamo cantato dai balconi, combattuto; giorni fatti di libri letti, pagine sfogliate, fotografie scattate per testimoniare esperimenti, evoluzioni, scoperte; immagini condivise per sentirsi più vicini, lacrime versate, paure confidate ad un amico a voce bassa nella cornetta di un telefono fisso come facevamo da bambini; notti piene di pensieri o di spazi ritrovati, giorni fatti di cambi di stagione per fare finalmente ordine nei cassetti sempre confusi della mente umana.

Un viaggio in cui probabilmente abbiamo imparato ad accettare i cambiamenti che per tanto tempo abbiamo rimandato, in cui abbiamo perdonato le promesse sciolte e forse anche un po’ noi stessi. Ci siamo arresi, ci siamo guardati negli specchi delle pareti delle nostre piccole case, ci siamo medicati e siamo guariti, uscendo da quelle continue battaglie perse in cui siamo perennemente incastrati.
Abbiamo attraversato a piedi nudi il buio della notte più scura ma abbiamo anche conosciuto la bellezza di un nuovo giorno fatto di colori sempre diversi, di semi che lentamente germogliano dandoci esempio di vita e resistenza. Ci siamo ritrovati interi, forse con qualche graffio ma con i sogni intatti.

E alla fine di questo viaggio che porta il nome della speranza che abbiamo invocato più volte e a cui ci siamo appellati ogni giorno, abbiamo imparato a conoscere l’altra faccia della medaglia della vita.
Abbiamo capito che ciò che temiamo ci insegna ad affrontare la paura. Anche se invisibile, anche se silenziosa, anche se virulenta.
Abbiamo capito che ciò che ci viene negato può insegnare il valore delle cose. Anche delle più semplici, anche degli abbracci o dei sorrisi che oggi provengono dagli occhi e non più dalle labbra.
Abbiamo capito che ciò che non possiamo avere può insegnarci a resistere, a desiderare più forte e anche a viverle quelle mancanze perché spesso sono loro che espandono i sentimenti!
Abbiamo capito che ciò che diamo per scontato può cambiare improvvisamente. Anche le nostre abitudini più radicate, anche le distanze a cui non eravamo pronti.
Abbiamo capito che il caos che governa le nostre vite piene può insegnarci il valore prezioso dell’essenzialità, della solitudine e anche dell’apnea dei silenzi in cui ci si può rifugiare per fare ordine.
Abbiamo capito che ciò che calpestiamo come fossimo padroni di casa non ci appartiene affatto. Siamo semplici locatari in una casa che ci è stata solo concessa da una proprietaria di eccellenza. Una signora dal grande cuore come quello di una madre ma che oggi si sente in diritto – e non la biasimo – di prendersi qualche rivincita e darci una piccola lezione come si fa con i figli più testardi.

Terra, che questa volta festeggia il suo compleanno come una perfetta padrona nella sua sala da ballo. E riprende spazio, sgranchisce le radici e sfoggia il suo verde migliore, passeggiando per le strade delle grandi città e strappando al cemento una nuova porzione di vita.
Abbiamo capito che ciò che ci fa sentire schiavi può insegnarci il valore della pazienza, dell’attesa e della grandezza di quel principio che oggi a gran voce possiamo chiamare voglia di libertà. E allora se è vero che da qualsiasi viaggio si torna sempre un po’ cambiati, io da questo viaggio di ritorno vi auguro che possiate stringere con le vostre mani un nodo ben saldo ad un fazzoletto di lino bianco – o tricolore per i più patriottici -, da portare sempre nelle tasche delle vostre giacche come un prezioso souvenir, richiamo eterno alla memoria del più grande insegnamento che la storia potesse darci. Che esiste una forza più grande che nessun tempo, nessuno spazio, nessuna paura o pandemia potrà mai vincere: la forza della vita.

Esistenza come dono, questo sarà sempre il più potente dei farmaci.

 

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