di Alex Vigliani
La cascata è lì meno generosa di altri anni e scompare quasi subito appena mi inoltro nel bosco, tramutandosi in eco e poi in dissolvenza.
La Riserva Naturale di Zompo Lo schioppo è un posto che scorre, un luogo in cui l’acqua è l’elemento principale. Non è difficile comprendere come qualcuno possa aver scelto questo luogo per la meditazione.
Poco più in alto della cascata, infatti, ma non troppo distante da un impluvio che spesso si riempie di acque fresche di disciolta neve, innesto magico di mano umana, tra cavità rocciose e aspre dorsali, insiste l’Eremo e la Chiesa della Madonna del Caùto sorretta da un ampio arco a tutto sesto.
L’ambiente presenta copertura a volta a botte e, sul fondo, incavata nella roccia, una piccola abside e le caratteristiche proprie dei luoghi eremitici: corso d’acqua prossimo o vicino, rocce scavate dal tempo, luoghi ameni raggiungibili perché si vuole e celati dai boschi.
Il mio passo è fin troppo pesante. Troppo rumore rispetto al silenzio circostante. Mi fermo a respirare un attimo e alzo gli occhi verso le canopie degli alberi. Il battito del cuore, il movimento lento delle fronde, il fatto che esse non si tocchino. Il vento che gioca tra gli alberi. Tutto è ipnotico. Le foglie, il fruscio tra i faggi. C’è qualcosa poco distante. Forse un topolino. Non sono solo, non si può essere soli in mezzo a migliaia di faggi. Immagino gli uomini, i primi, che decisero di stanziarsi qui e creare un romito pietra su pietra.
Cosa spinse questi alla scelta di ritirarsi in solitudine? E quanto c’era in questi boschi quando ancora il mondo non era stato industrializzato? Chissà che cosa doveva essere stare qui con le paure del tempo. E forse la convivenza con il lupo faceva meno paura, rispetto ad oggi dove l’uomo moderno ha paura del lupo ma non teme la quotidianità frenetica di motori rombanti a sputare veleno in aria.
Qui come un uomo dell’anno 1000, qui dove il bosco riprende il suo ruolo accentratore nella vita, qui dove gli avvenimenti dell’anno 1000 sconquassarono la vita quotidiana portando alla fuga.
Io non sono in fuga, ho una casa in cui tornare. Un letto su cui dormire, tante comodità cui far ritorno. Non bastano le notizie di ogni giorno a farmi fuggire, a decretare una scelta di solitudine cercata e voluta.
Una corda da cui si aziona una campanella è lì che mi tenta. Il suono mi sveglia. Apro la porta fermata da un bastone e l’odore di umido mi prende le narici. Sul lato sinistro una porticina permette l’ingresso alla zona cultuale. All’interno della chiesa, sulla parete di fondo sono visibili resti di affreschi dove sono narrati gli episodi della vita di Santa Caterina di Alessandria, nella volta invece sono raffigurati diversi personaggi tra cui San Clemente, riconoscibile dal nome dell’iscrizione presente sotto la sua figura. Su un tavolino si ricorda la figura di un giovane scout prematuramente scomparso. I suoi amici ne hanno lasciato memoria.
Proseguendo lungo il frastagliato muro esterno si arriva ad una grotta dedicata a Santa Maria del Pertuso o, secondo la tradizione popolare, Santa Maria del Caùto e Caùto vuol dire esattamente cavità.
L’esistenza del luogo di culto è testimoniata dal XII secolo, quando il priorato di Santa Maria del Pertuso si trovò implicato, insieme ai chierici di San Giovanni a Celano, in una controversia con il vescovo dei Marsi sulla consacrazione dell’olio del giovedì Santo.
Ancora un minuto per emozionarmi, ancora un attimo per sentire la vita passata qui che scivola sopra le foglie, tra i boschi, tra le fronde. Il passo mio riprende, qualche tasso tinge di verde il bosco e tra qualche minuto incontrerò il Rifugio Tassiti. Abbandonato. Distrutto. Violentato dalla mano di quelli che non riescono a fare pace con il bene comune. La strada bianca mi chiama, come in una canzone di Guccini. Ormai la via del ritorno è prossima e il suono scrosciante di rivoli e cascate torna a essere padrone del mio tempo, del mio spazio, del mio passo.